Federica Gonnelli. Intervista

Per cominciare, ci racconti come e quando è iniziato il tuo percorso artistico?
“Il come”: sono cresciuta tra stoffe, scatole, fili, manichini, abiti e ancora libri, enciclopedie e cataloghi d’arte, senza dimenticare colori di varie tipologie e carte. Elementi inscindibili che, per me, avevano un’unica base: il disegno. Ho sempre pensato che il disegno sia la base per ogni creazione del fare umano, il disegno è la radice dalla quale si sviluppa tutto. “Il quando”: crescendo e scegliendo il Liceo Artistico e, successivamente, l’Accademia di Belle Arti di Firenze. In particolare posso indicare “il quando” all’inizio del secondo anno di Accademia. Dopo un anno di sperimentazioni in ambito pittorico e dopo un’estate di riflessione, ho riscoperto le mie sperimentazioni di bambina ed ho iniziato il mio percorso artistico di ricerca concettuale e sull’uso dei materiali più vari, che, fin da subito, si è contraddistinto per l’utilizzo estremamente personale e riconoscibile del velo d’organza.

In che modo e da che cosa trovi ispirazione per realizzare le tue opere?
Trovo ispirazione per le mie opere indistintamente in un’immagine, in un viaggio, in un incontro, in una parola o in un titolo. Nella realtà o nelle mie letture notturne. Non c’è un momento più o meno propizio per l’ispirazione, per questo porto sempre con me una vecchia agenda nella quale appunto tutto attraverso bozzetti e descrizioni. Per me è essenziale congelare ogni più piccolo dettaglio della suggestione, perché anche se spesso queste suggestioni si trasformano subito in progetti, opere, installazioni o video, altre volte accade che possano passare degli anni prima che la suggestione si trasformi in un progetto concreto.

Quali sono i generi e i modi espressivi che prediligi?
Ogni opera nasce nella forma che le è più congeniale, non ho un genere o un modo espressivo preferito. Tutte le opere sviluppano il rapporto opera – spazio – osservatore in modo diverso: da una modalità più intima dell’opera su carta e organza, alla più classica e tipica modalità dell’opera tridimensionale a parete, infine alla modalità più coinvolgente dal punto di vista dello spettatore della videoinstallazione ed installazione. Tutte, comunque, accomunate dal velo d’organza, dalla trasparenza, dalla sovrapposizione reale o virtuale/digitale attraverso la quale immagini e figure instaurano un dialogo con ciò che si trova oltre il velo stesso.

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere al pubblico tramite le tue opere?
I messaggi che voglio trasmettere variano al variare dei progetti: ciò che più mi preme è come l’osservatore si approccia all’opera e all’interpretazione del messaggio contenuto, il tempo che vi dedica e quanto decide di calarsi nella profondità delle varie stratificazioni materiali e simboliche dell’opera. Il mio lavoro permette una molteplice stratificazione di materiali e di interpretazioni, ogni percorso interpretativo finisce per supporne un altro, così che non possa mai dirsi completamente esaurita la lettura. Il senso dell’opera d’arte è nella stratificazione di trasparenze. La sequenza dei piani impone un movimento allo spettatore che, di conseguenza, porta ad una costante variazione della configurazione dell’opera. Il movimento dell’osservatore verso l’opera implica l’inevitabile legame tra l’opera ed il contesto in cui o per cui è realizzata o inserita.

Come ti poni nei confronti dell’arte del passato e ci sono artisti che hanno ispirato la tua produzione artistica?
L’esperienza di confronto con l’arte è avvenuta fin da molto piccola con la mia famiglia. Dal Rinascimento fiorentino ho ereditato l’amore: per le proporzioni, la figura umana, la maestosità della presenza, la spazialità, i significati ed i simboli. Grande importanza ha avuto per me negli anni successivi lo studio di artisti come Brancusi, Duchamp, Oppenheim, Beuys, Bourgeois, Manzoni, Fontana, Kahlo, Lai, Paolini, Hesse, Pane… Artisti dai quali ho capito che il gioco è importante quanto la coerenza. Perché la coerenza dell’artista è prima di tutto dentro se stesso, nella sua vita, nel suo percorso e di conseguenza in ogni sua opera, ma al tempo stesso occorre sapersi mettere in gioco, ho capito che i limiti si superano, ma occorre sapersi fermare.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese e in che modo ritieni che un artista possa emergere?
Possediamo un patrimonio storico artistico immenso; grandi e importanti realtà per quanto riguarda il contemporaneo, ma occorre fare di più per tutelare, sostenere e promuovere la ricerca e la sperimentazione, perché c’è voglia di conoscere, di capire, di vedere con nuovi occhi, nelle grandi città come nei centri più piccoli. Tutto ciò è possibile solo attraverso l’arte. Con ciò voglio sottolineare l’importanza che avrebbe costruire più sinergie tra antico e contemporaneo e tra le arti in generale e i vari ambiti della ricerca anche quelli non prettamente “artistici”. L’unico strumento in mano all’artista per emergere in questa situazione è la sua stessa opera, costruire connessioni attraverso essa. Occorre condividere, occorre – fare rete – parola talmente usata negli ultimi anni da sembrare usurata, ma nonostante tutto questa resta la parola che più di ogni altra rappresenta la possibile soluzione.

A cosa stai lavorando ora e quali sono i tuoi progetti futuri?
Ho appena iniziato una nuova collaborazione con Giulia Ponziani di Studio 38 Contemporary Art Gallery di Pistoia. Dal 2 al 4 febbraio parteciperemo a SetUp Art Fair, nella nuova sede di Palazzo Pallavicini a Bologna, dove presenterò un’opera installativa inedita “Tesi – tra le attese” che sarà ulteriormente sviluppata nella mostra personale in galleria a Pistoia dal 31 marzo al 28 aprile. Sempre a febbraio con il collettivo Arts Factory di cui faccio parte, presenteremo un nuovo progetto multidisciplinare, nell’ambito di un’importante manifestazione letteraria nazionale. Dal 17 al 31 marzo parteciperò con una videoinstallazione alla seconda edizione di “Other Identity”, che si svolgerà in varie sedi a Genova, un progetto ideato e a cura di Francesco Arena. Nel 2018 proseguirò anche il mio percorso di residenze artistiche con una nuova esperienza. All’interno di Arteam Cup 2017 mi è stato assegnato infatti il Premio speciale residenza SUGAR IN ART sug@R(T)_house – Figli di Pinin Pero. Si tratta di una residenza di 7 giorni, volta all’ideazione di una installazione che veda protagonista uno dei prodotti dell’azienda. La mia concentrazione e le mie sperimentazioni si rivolgeranno sull’elemento base: lo zucchero.

www.federicagonnelli.it

 

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