Federico Severino. Intervista

Per cominciare, ci racconti come e quando è iniziato il tuo percorso artistico?
Ufficialmente il mio percorso artistico è iniziato al primo anno del triennio Accademico, presso l’Accademia di Belle Arti Abadir di Catania. In quegli anni ho conosciuto Giuseppe Puglisi e Piero Zuccaro, artisti membri del gruppo di Scicli, oggi miei maestri. Sono stati anni importanti perché ho iniziato ad osservare tutto quello che mi circondava in maniera diversa. Ho avuto, sin da subito, la possibilità di partecipare a collettive, workshop ed eventi culturali.

In che modo e da che cosa trovi ispirazione per realizzare le tue opere?
Non è una questione di ispirazione, preferisco chiamarle sensazioni o ancora meglio, emozioni. Il primo approccio avviene con la fotografia, devo vivere l’ambiente che mi circonda. Sento sempre la necessità di osservare, attraverso la lente, quel che mi si pone davanti. Sono sempre stato affascinato da alcune fotografie che scattavo un po’ offuscate, non molto definite. Mi hanno sempre lasciato un senso di incompletezza, ma allo stesso tempo relazionavo tutto questo alla mente, alla memoria. Penso sempre al lavoro che eseguo come ad un lavoro di cucitura. Poi ne parlerò meglio nelle prossime domande. Sono molto interessato ai molteplici aspetti che può suggerire un paesaggio: luogo, dimensione ideale che diventa una dimensione aperta per tutti.
Il linguaggio pittorico nasce dall’esperienza compiuta. Io ho la necessità di vivere l’ambiente e conoscere fisicamente il territorio, calpestarlo.

Quali sono i generi e i modi espressivi che prediligi?
Penso sempre al lavoro che eseguo, come se fosse un lavoro di cucitura, una congiunzione di uno, due, tre, infiniti punti. La materia che utilizzo è il pastello ad olio. Credo che per la resa che voglio ottenere sia la materia più adatta. Con il pastello traccio delle fitte strutture materiche, sperimentando sempre nuovi cromatismi. Procedo repentinamente per piccoli tocchi, piccoli puntini che, man mano, si espandono, prendono diverse direzioni e lasciano che sia l’occhio dello spettatore a ricomporli. Il tutto è mantenuto da un sottile confine tra figurazione ed astrazione. Amo parlare di immagini che, come corpi in decomposizione, si sfaldano nel nulla e perdono gradualmente i loro confini, acquisiscono diversi gradi di chiarezza, bagliori di luce oppure mutano in lievi ombre sottili, soffuse, silenziose.

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere al pubblico tramite le tue opere?
Più che messaggio, amo parlare di linguaggio espressivo. Rifletto sul valore universale di paesaggio. Cosa vuol dire rappresentare un paesaggio oggi? Paesaggio come luogo ideale della mente, paesaggio come proiezione non visiva, ma esperienziale. Lavoro su immagini che agiscono sull’osservatore con il fascino di ciò che è lontano e offuscato nel tempo, percezioni indefinite di distanze, ricordi di un luogo non più così nitido dentro di noi. I miei paesaggi li considero mondi chiusi, intimi, incontaminati, mondi spaesati di quella indeterminatezza che tutto sfuma, scontorna, trasforma e disorienta. L’immagine forma l’esperienza che ci costituisce.

Come ti poni nei confronti dell’arte del passato e ci sono artisti che hanno ispirato la tua produzione artistica?
Anche se in quest’ultima produzione non sembra, nei primi anni Accademici ero molto affascinato da Francis Bacon. Nei primissimi lavori inserivo spesso una figura, anche non definita, che timidamente si mostrava ed emergeva all’interno dello spazio, prevalentemente interni. Apprezzo moltissimo e mi sento molto vicino all’opera di Mark Rothko, ma, in particolar modo, all’aspetto contemplativo, spirituale. Da qualche anno a questa parte sono andato a rivedere e approfondire gli aspetti tecnici che hanno contraddistinto il filone dei Puntinisti in Francia e dei Divisionisti in Italia. Ad ogni modo, George Seurat è l’autore più sfogliato in questi ultimi mesi. Seguo molto anche diversi fotografi che lavorano sul paesaggio. Per citarne alcuni, Franco Fontana, Luigi Ghirri e Fulton Hamish.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese e in che modo ritieni che un artista possa emergere?
Bella domanda, difficile risposta. Ci provo. Sicuramente mi sbaglierò. Penso che dobbiamo esser pronti e munirci di guantoni da box perché appena si mette piede fuori, ci aspetta l’Inferno di Dante. Non è facile, ma bisogna convivere con determinate “leggi” che scandiscono e determinano il sistema dell’arte contemporanea. Io penso che sia necessario essere seri, avere un lavoro onesto, professionale e consapevole. E poi quel che viene, verrà da sé…

A cosa stai lavorando ora e quali sono i tuoi progetti futuri?
In questo momento sto lavorando per un importante progetto personale espositivo che avrà luogo in Sicilia ad ottobre. Lo scorso novembre, invece, ho vinto il II Premio in occasione del Premio FAM alle Fabbriche Chiaramontane (AG). Il premio consiste in una residenza in Italia, ma sono ancora in attesa di sapere dove si svolgerà.

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