Manuela Toselli. Intervista

Per cominciare, ci racconti come e quando è iniziato il tuo percorso artistico?
Difficile inquadrare in un arco temporale la nascita del mio percorso, c’era già tutto, doveva solo essere tirato fuori nel modo corretto. Se vogliamo proprio dargli un tempo, posso dire che ho frequentato l’Accademia tardi, quindi ci sono arrivata anagraficamente matura. Ma è vero solo in parte, perché senza tutto il bagaglio precedente, non avrei fatto nulla di quello che faccio ora, tutto torna e ritorna utile e fondamentale al mio lavoro.

In che modo e da che cosa trovi ispirazione per realizzare le tue opere?
Il termine “ispirazione”, mi sembra qualcosa di effimero e inconsistente, nel quale faccio fatica ad identificarmi. Nel mio lavoro, vi è una coerenza che non è soggetta all’ispirazione del momento. Tutto è legato e segue un percorso di analisi e indagine personale. Non si basa sull’impulso passeggero che solo se sollecitato fa nascere qualcosa. Spesso un lavoro matura anni, prima di trovare la giusta forma, dipende solo da quello che voglio dire e in che modo raccontarlo.

Quali sono i generi e i modi espressivi che prediligi?
Per me è fondamentale il medium: la seta. Tutto parte da lì. La classificazione di genere, oggi, la trovo riduttiva; le arti si mescolano, si può fare pittura in mille modi differenti, fotografia attraverso il digitale e il computer, scultura attraverso installazioni e performance e così via. Direi che sarebbe il caso di cominciare a scardinare certi meccanismi di lettura e anche di classificazione dell’arte contemporanea, aprendola realmente alla commistione tra i mezzi.

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere al pubblico tramite le tue opere?
Non vanto nessuna velleità pedagogica. Il lavoro serve principalmente a me, per dare forma a ciò che non ce l’ha, a ciò che non riesco a descrivere in altro modo. Ho bisogno di trovare un mezzo che mi consenta di staccarmi oggettivamente da uno stato d’animo, perché nella raffigurazione vi è anche la visione concreta e, quindi, la capacità di osservarsi dal di fuori. In questo modo mi allontano da ciò che altrimenti sarei incapace di misurare e comprendere e, attraverso questa operazione, che definisco di gestazione e concepimento, anche la mia visione iniziale cambia. È un lento e lungo lavoro di catarsi di tutto ciò che occupa la sfera delle emozioni, delle relazioni tra individui, di ciò che mi colpisce, mi ferisce, mi segna in modo profondo. Parlo semplicemente di me. È evidente una dicotomia tra forme algide, raffreddate a tal punto da risultare astratte, geometriche, calcolate e altre morbide, leziose e domestiche. Noi siamo tutti doppi. Siamo rigidi e siamo morbidi a seconda del caso. Dunque, quello che si vede sono frammenti di un unico insieme, in cui l’unico filo conduttore è il medium: la seta, a volte mescolata con altri materiali. L’indicazione alla lettura del lavoro parte dal titolo, in cui spesso cerco ironicamente un doppio rimando, sia formale che esplicativo. Chi osserva il mio lavoro, può essere attratto da una forma rispetto ad un’altra, oppure da nulla. Questo è relativo. In fondo, quello che faccio è simile a quello che accade nelle normali relazioni tra individui, puoi piacere o meno, può incuriosire qualcosa di te, o nulla, fa parte della vita e dei suoi meccanismi, in cui, per fortuna, siamo tutti diversi!

Come ti poni nei confronti dell’arte del passato e ci sono artisti che hanno ispirato la tua produzione artistica?
Bisogna sempre guardare l’arte del passato e conoscerla, ma altrettanto importante è quella contemporanea, occorre essere informati e curiosi. È complicato conoscere tutto, ma bisogna per lo meno provarci, per difendere meglio il proprio lavoro. Mi pongo sempre delle domande di fronte al lavoro di un altro artista, come le pongo al mio. Cerco sempre la coerenza tra forma, pensiero e messaggio. Mi piace quando l’indagine solletica l’intelletto, quando la visione superficiale introduce alla sub-visone, quella sconosciuta, quella celata dietro la forma. Davanti ad un’opera voglio emozionarmi. Ci sono artisti capaci di tanto e altri che scivolano via come la pioggia sui vetri. Adoro comprendere l’individuo prima che il personaggio e questo influisce anche nella lettura del lavoro. È difficile descrivere con le giuste parole questa mia osservazione, ma ritengo che in questo particolare lavoro, quello che uno fa è quello che uno è.
Di fronte al lavoro di artiste donne, ho dei riguardi particolari, non per la volontà di affermazione di un femminismo latente, ma perché osservo che, ancora oggi, sono poche le donne che riescono a raggiungere alti livelli di successo. Risultano ancora in minoranza, e l’ultima Biennale di Venezia, con il ristretto numero di artiste chiamate a partecipare, è una conferma di questa considerazione. Louise Bourgeois, Maria Lai, Tracey Emin, sono solo alcuni degli esempi di questa visione di potenza e poetica. In loro la necessità di lavorare è indipendente dagli schemi e dai vincoli imposti dal mercato. È per cominciare un’esigenza, non volontà di affermazione e proprio per questo, preserva quella purezza e quella autenticità che raramente riscontro in molti altri artisti affermati, spesso prigionieri di ciò che fanno e che li ha resi noti.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese e in che modo ritieni che un artista possa emergere?
Mi astengo dal rispondere a questa domanda.

A cosa stai lavorando ora e quali sono i tuoi progetti futuri?
Quest’anno, nel mese di novembre, presso la galleria Castel Negrino Arte (MB), prenderò parte a una mostra bipersonale curata da Matteo Galbiati, in cui presenterò una serie di nuovi lavori monocromo appartenenti a cicli differenti.
Per il 2018 il programma è un po’ più fitto, infatti a partire da fine febbraio, presso i Musei Civici della Città di Alessandria, si terrà la personale, curata da Matteo Galbiati, originata dal Premio Speciale Città di Alessandria, vinto lo scorso anno in occasione dell’Arteam Cup 2016 e assegnato dall’Associazione Culturale Liberamente (AL).
Poco dopo, presso la Galleria RCContemporary di Torino, proporrò un progetto in cui mi soffermo su una lettura profonda e soggettiva dello scorrere del tempo legato agli affetti.
A maggio, presso la sala espositiva della Biblioteca del Comune di Pordenone, prenderà luce un progetto sul linguaggio a cui tengo molto, curato da Chiara Tavella. Qui metterò in relazione le diverse declinazioni espressive grazie anche alla collaborazione con altri professionisti: la poetessa Marta Serena e l’editore Alberto Casiraghy, fondatore della Casa Editrice Pulcino Elefante di Osnago (Lecco).  A settembre, presso il Museo del Territorio di Cormons (GO), presenterò un progetto realizzato con la collaborazione dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Pordenone, curato da Chiara Tavella. A fine ottobre si terrà la personale presso la Galleria Civiero Art Gallery (IM), in cui esporrò una serie di lavori nuovi, anche installativi.

www.manuelatoselli.it

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