Giorgio Distefano. Intervista

Per cominciare, ci racconti come e quando è iniziato il tuo percorso artistico?
Sin da piccolo ho sentito l’esigenza di disegnare e dipingere; anche se per questioni pratiche non ho potuto frequentare un Istituto Artistico per la formazione superiore, alla conclusione del liceo Scientifico, mi sono iscritto all’Accademia di Belle Arti di Firenze, sezione scenografia, dove ho approfondito la progettazione scenografica e di costume teatrale e continuato parallelamente, anche in solitudine, il mio percorso di studio della pittura e delle tecniche grafiche, fino a che questa direzione non ha trovato possibilità di esprimersi e strutturarsi in maniera professionale.

In che modo e da che cosa trovi ispirazione per realizzare le tue opere?
Essendo un cultore dei materiali e delle tecniche, mi lascio molto guidare dalla suggestione che mi viene naturalmente offerta dalle materie prime. L’artigianalità che sta alla base di una certa ricerca offre di sicuro sempre nuovi stimoli e direzioni; per questo mi piace pensare prima di tutto con le mani – sperimentando, aggiustando il tiro e prendendo spunto dagli errori – elaborando poi, sulla base di una tecnica e di un materiale esperiti nelle loro caratteristiche essenziali, un progetto con un filo unico che raccolga visioni pratiche e di concetto.

Quali sono i generi e i modi espressivi che prediligi?
Per via della mia formazione, sono molto attratto dallo studio dello spazio e dalla sua rappresentazione bidimensionale. La pittura e la grafica, nelle loro infinite possibilità di matericità, leggerezza ed evanescenza sfidano di continuo la realtà tangibile delle superfici e consentono innumerevoli interpretazioni. Da una parte, prediligo la tela, la carta e i materiali “impropri”, dipinti con gli acrilici o con gli oli  a spatola, per una esigenza di rilievo e frammentazione della superficie, che si ricompone con la distanza dell’osservatore – come nella tecnica pittorica scenografica; dall’altra,  la luminescenza dei metalli in foglia e le velature a pennello per suggerire atmosfericità e profondità.

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere al pubblico tramite le tue opere?
Mi piace l’idea che il pubblico sia curioso di entrare nelle visioni che propongo, che colga quella sensazione di inquietudine multiforme che ha generato il lavoro; mi piacerebbe che si percepisse questo, che i luoghi o gli oggetti rappresentati risultassero sospesi, tra il nostos e la fuga, tra l’ironia malinconica e la rassicurante estetizzazione di un conflitto, come ad esempio quello tra paesaggio naturale e abitazioni.

Come ti poni nei confronti dell’arte del passato e ci sono artisti che hanno ispirato la tua produzione artistica?
Il passato è quanto mai vivo nel mio percorso; è una fonte inesauribile di ispirazione e confronto, una modalità per comprendere meglio il mio vivere – e agire – la contemporaneità, sulla base di  quel retaggio emozionale, iconografico e immaginifico che ci hanno donato i grandi maestri.  Il teatro delle luci di Caravaggio, l’orafo Giovanni Di Bartolo e i suoi busti a reliquiario, la grafica sospesa e compositivamente perfetta di Hokusai; da ogni parte del mondo e da ogni epoca, la rete delle mani pensanti e creative si intreccia in una dimensione che non ha tempo e che si declina nelle singole sfaccettature del gusto e delle sue correnti.  

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese e in che modo ritieni che un artista possa emergere?
Il concetto di emersione lo lego strettamente alla richiesta di ossigeno. Emergere oggi, nel mondo dell’arte contemporanea, e soprattutto in Italia, vuol dire anzitutto avere modo e possibilità di respirare, di potere lottare fino allo stremo – come un Samurai, direbbe Daverio – per vivere e far sì che il proprio lavoro abbia senso, responsabilità e coraggio della propria Identità. Certamente, è più difficile accettare i limiti che tutto ciò comporta che non assecondare gli stimoli di una pressione esterna, di un progetto a tavolino dettato da tendenze omologanti, che spinge all’emulazione – a parer mio, frustrante – di non rari fenomeni dalle mirabolanti risorse creativo-commerciali, che piacciono molto alle masse.
La specificità deve essere un punto di forza, unita a un serio intreccio di pratiche relazionali, all’interno delle quali ci sia stima reciproca e rispetto umano, voglia vera di costruire e creare con tutti i linguaggi possibili, sempre nelle proprie possibilità, senza forzare andamenti che, nell’accumulo, portano a prevaricazioni e asfissia.

A cosa stai lavorando ora e quali sono i tuoi progetti futuri?
Il progetto in progress che mi vede impegnato in questo periodo ho voluto chiamarlo “Carte della sopravvivenza nel Mediterraneo” e consiste in una serie di tavole realizzate su cartamodelli per abbigliamento che, usati in maniera impropria, assumono le sembianze di mappe nautiche, di visioni del mare nostrum realizzate in seguito al progressivo, possibile innalzamento del livello delle acque a livello globale. L’ispirazione è nata da una mia recente visita al corridoio delle mappe geografiche dei musei Vaticani di Roma.
In questi lavori cerco di coniugare il dato scientifico, le mie pre-visioni apocalittiche sul territorio europeo – all’interno del quale le migrazioni torneranno ad essere provocate dalle forze soverchianti della natura e non più dall’uomo e dalle sue regole socio-politiche – e la fascinazione per un linguaggio tecnico-artistico desunto dall’antichità, in un cerchio di rimandi che, a conti fatti, trova la sua conclusione in un futuro-passato, inquietante e incontrollabile.

http://giorgiodistefano.wixsite.com/giorgiodistefano

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